Riparte la riforma del terzo settore: cosa bolle in pentola ?

Il sottosegretario Bobba ha annunciato la ripartenza dei lavori per la Riforma del Terzo Settore a palazzo Madama. Infatti la commissione Bilancio del Senato ha concluso l’esame degli emendamenti avviando l’iter di esame delle proposte di modifica nella commissione affari costituzionali.

Il blocco parziale era stato dovuto alla copertura nella legge di stabilità 2016 delle azioni onerose che la riforma mette in campo come l’ampliamento dei fondi per il servizio civile.

Il testo riserva grosse novità nella organizzazione del Settore che per Renzi è il “Primo Settore, non più Terzo” come va ribadendo da tempo.

Il “Civil Act” – come sostiene Bonacina su l’Unità di qualche giorno fa – determinerà la reale intenzione del Governo di tener fede ad una serie di auspicabili intenzioni come quella di portare anche le Politiche Sociali “fuori dal Palazzo” invertendo la logica del taglio e rimettendo “risorse sul Fondo Sociale, sul Servizio Civile, sul 5 per mille, sulla scuola, sul “Dopo di Noi” e strutturare finalmente una misura contro la povertà”.

Lo scenario in cui si inserisce l’evenienza della riforma è stato tratteggiato dall’ultimo rapporto Zancan presentato il 15 u.s. a Roma a Palazzo Altieri da dove balza un dato estremamente sconfortante: la spesa italiana è in grande affanno nel compito di abbattere la povertà! Un milione di euro investiti sottrae in Italia 39 persone alla povertà contro una media di europea di 62 per milione €.

Mentre così la Povertà è aumentata del 129 % in sette anni dal 2007 al 2014, in Italia solo il 9% nel 2012 dei trasferimenti pubblici era diretto al quinto più povero della popolazione contro il 21% medio dei paesi OCSE. (Alessia Guerrieri su Avvenire del 16/2/2016)

E quel che più scoraggia è che solo il 10 % degli investimenti finisce in servizi reali!

Come il futuro Civil Act dovrebbe rispondere a questo scenario non è dato sapere anche se per il passato autorevoli affermazioni lasciano intravvedere profondi sconvolgimenti nell’assetto definitivo delle istituzioni preposte. Si rifletta, ad esempio, come tutto il dibattito sia stato incentrato sulla impresa sociale, il servizio civile e il destino dei centri di servizio. Quasi si volesse riflettere sui cardini di una strutturazione profonda, sulle risorse necessarie ad essa e su come dare efficienza alla spesa del nuovo sistema!

manes

Non è sfuggita agli addetti ai lavori una intervista, tra le altre, rilasciata a VITA il 10 novembre scorso dal consigliere per il sociale del premier Matteo Renzi, Vincenzo Manes, in cui il vate della Leopolda in materia entra nel dettaglio di una nascitura Fondazione Italia per l’economia sociale, non nascondendo che il primo atto «sarà la presentazione di un emendamento del governo nel corso del dibattito sulla riforma del Terzo settore».

Ma andiamo con ordine. A cosa pensava Manes a novembre? A domanda precisa egli risponde.

Intervistatore: Si chiamerà Fondazione Italia ma tutti la chiamano già “Iri del sociale”: le piace la denominazione?
Manes: Il nome l’ho suggerito io stesso qualche mese fa in un’intervista al Corriere Fiorentino. Poi è stata ripresa ed ha avuto fortuna. A mio parere rende l’idea: ben inteso mi riferisco all’Iri che negli anni 50 e 60 diede un contributo fondamentale per modernizzare il Paese.

Intervistatore: Dal punto di vista giuridico quale sarebbe l’assetto?

Manes: Fondazione Italia sarà costituita a norma del codice civile come persona giuridica privata, senza scopo di lucro, per iniziativa dello Stato e sarà aperta alla partecipazione di fondazioni di erogazione, di imprese e di altri soggetti. Il fondo di dotazione sarà costituito da risorse in prevalenza private.

Intervistatore: Ha un modello giuridico in mente?

Manes: L’Istituto italiano di Tecnologia.

Intervistatore: Sarà istituita per legge d’accordo, ma quando?

Manes: Attraverso un emendamento governativo alla legge delega per la riforma del Terzo settore in discussione al Senato. La dotazione inziale sarà di un milione di euro.

A chi obietta che dagli emendamenti sin qui conosciuti non trapela ancora questa idea nell’iter parlamentare della Riforma, risponde il 15 gennaio sempre su VITA il sottosegretario Bobba che sollecitato a tanto da Stefano Arduini sostiene letteralmente che si sta lavorando al testo insieme al ministro Boschi e di tener conto però che il Governo ha tempo sino all’ultimo minuto per presentare il testo in Commissione.

Se l’obiettivo è quello di efficientare la spesa, l’idea non ci sembra peregrina.

iit-logo-v3-mainsite http://www.iit.it  

L’IIT ha una governance ispirata ai modelli di funzionamento delle principali istituzioni scientifiche attive a livello internazionale.

Il modello di governance dell’Istituto è stato infatti scelto e strutturato sulla base di un’analisi comparativa di 7 centri di ricerca internazionali di eccellenza – Max Plank Institute, Fraunhofer e TNO in Europa; MIT, Scripps, Caltech in Usa; Waseda in Giappone – con il preciso scopo di dare vita ad un modello operativo in grado di agevolare lo svolgimento dell’attività scientifica ottimizzando il rendimento delle risorse impiegate e dei finanziamenti a disposizione.

Il  modello organizzativo dell’IIT si fonda sui seguenti principi base:

1.       l’autonomia della ricerca,

2.       una definizione chiara e puntuale delle responsabilità,

3.       la flessibilità operativa,

4.       la valutazione costante dei risultati ottenuti attraverso organi di controllo indipendenti.

Quello che ci lascia perplessi è l’esemplificazione dell’ Istituto Italiano per la Tecnologia come modello a cui ci si possa ispirare. Ci saremmo aspettati che fosse ricordata l’esperienza della Fondazione con il Sud a proposito.

Ma perché non quella. Non possiamo pensare che sia banalmente una dimenticanza. In cosa differiscono le due esperienze ?

E allora riguardiamo rapidamente nella scheda la Governance dell’IIT.

Ci accorgeremo che, contrariamente alle esperienze che il volontariato ed il terzo settore hanno sin qui cumulato, il governo della futura Fondazione Italia sarà molto di più nelle mani di un privato che è sempre più desideroso di “gestire” il sociale in Italia.

I nostri Centri di Servizio saranno solo un ricordo di autogestione da parte della prima forza sociale italiana.

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